martedì 13 dicembre 2011

Matteo di San Giuseppe

    Matteo di San Giuseppe,  al secolo Pietro Foglia è nato nel 1612 a Marcianise. Era figlio di Scipione Foglia, medico e di Simona Cortesi. Anche lui, seguendo le orme del padre, ha  studiato medicina all'università di Napoli, dove ha conseguito la laurea all’età di 21 anni. Dopo aver esercitato a Capua, nel 1638 decise di entrare come novizio nell'ordine dei Carmelitani Scalzi, presso Napoli, nel cenobio di Santa Teresa. Il 25 Settembre 1639, prese i sacri voti, mutando il suo nome in quello di Matteo di San Giuseppe.
Nel 1644 fu inviato, munito del grado di Sacerdote, in oriente come missionario del suo ordine, e per quanto se ne sa non tornò più in Europa. Giunse nella missione della Siria, dove visse per quattro anni nel monastero del monte Carmelo in Palestina. Aveva come Superiore l’olandese  Celestino di Santa Lydwina (Peter Van Goal 1604-1676),  fratello del rinomato professore di lingue orientali Jacob Van Goal ((L'Aia, 1596 – Leida, 28 settembre 1667), traduttore dell'Imitazione di Cristo di Tommaso da Kempis, il quale, tra l'altro,  era appassionato di botanica. Egli aveva fondato detto monastero nel 1643 insieme a padre Rosario dello spirito Santo.
Sotto la sua guida e  Matteo  studiò e catalogò la flora del Libano, di cui fece rozzi abbozzi. Era l’inizio di una passione.
Nel 1648 fu trasferito alla  missione  della  “Persia e le Indie”. Prese dimore nella provincia di Guzarantesi, nel luogo detto in portoghese, Daman. Ha lavorato per alcuni anni a Bassora dove ebbe modo di  imparare  il Turco, l’Arabo ed il Persiano, ma la sua missione tra i mussulmani non ha avuto molto successo. Cominciò a persuadersi che la missione doveva focalizzarsi più sulle cure mediche nonché sulla necessità di formare  alcuni medici direttamente in quei territori. Per questo chiese ed ottenne dal papa il permesso di operare come medico. In Bassora scrisse un libro sulla medicina che fu inviato ai gesuiti in india per la stampa, copiò alcuni disegni di piante dai lavori di Saladin Artafa. Scrive un dizionario Neo-Mandaico, uno dei primi di questa lingua, basato sul dialetto di Bassora.
                Nel 1651 Matteo lasciò Bassora avendo come destinazione la residenza carmelitana di Diu, sulla costa di Gujarat, nei possedimenti portoghesi. Da lì, nel 1655 intraprese un viaggio in Mozambico dove studiò la flora dell’Africa dell’est. In tutti i suoi futuri viaggi, l’amore per la botanica non lo abbandonò mai. Persino i missionari che lavoravano con lui prendevano
continuamente nota della flora, disegnando e annotando le specifiche proprietà di ciascuna varietà. La sua collezione di disegni e annotazioni divenne molto vasta e fu conosciuta dai suoi contemporanei come Viridarium Orientale, di cui piccole parti furono pubblicate da Zenoni (Historia Botanica, 1645) e Mondi (1742).
Gerolamo Sebastiani
Sepolcro di Girolamo Sebastiani (Città di Castello PG)

                Nel 1656 Matteo ebbe l’ordine di lasciare Diu e di raggiungere il Malabar, dove i Carmelitani Scalzi avevano un’importante missione che era conosciuta col nome di Chiesa di Serre. Lo scopo della missione era il desiderio di Papa Alessandro VII di riconciliare la chiesa di Roma con una parte scismatica dei Cristiani di San Tommaso, ed annullare così l’influenza del Patriarcato di Siria. Il Papa nominò come commissario apostolico il padre Giuseppe di Santa Maria(Giuseppe Maria Sebastiani, Caprarola21 febbraio 1623 – Città di Castello15 ottobre 1689), anch’esso come Matteo Carmelitano Scalzo e  all’epoca 33 enne. Egli lasciò l’Italia il 22 Febbraio 1656. Il segretario della commissione, Vincenzo Maria di Santa Caterina da Siena ha steso un dettagliato resoconto di questo viaggio, che è stato pubblicato nel 1672 col titolo di “Il Viaggio alle Indie Occidentali”.  Alla fine del 1656 la commissione a bordo di una nave olandese giunse a Surat. La giunse  Matteo  con la sua compagnia. Il 19 novembre la commissione lasciò Surat e giunse nel Malabar, via Goa e Vengurla  dove si incontro con il Capitano Olandese ed infine giunse a Cunnanur nel gennaio del 1657.  Bisogna sapere  che, nel 1652, un personaggio chiamato Ahatallah si era presentato ai cristiani di S,Tommaso come vicario del Papa ed aveva fatto nominare l’arcidiacono Tommaso Parampil vescovo ed era quindi necessario invalidare tale nomina. Dopo un periodo di trattative la commissione impose la sua autorità e  l’accordo fu suggellato con una messa solenne il 22 luglio 1657 celebrata dal vescovo Giuseppe.
                Durante il viaggio e soggiorno in India, la commissione studiò e catalogò moltissime specie vegetali ed animali con le quali veniva in contatto, come ampiamente narrato nel resoconto di padre Vincenzo.
                Quando il 7  gennaio del 1656 la commissione, terminata la sua missione si imbarcò a Cochin, per rientrare in Italia. Giuseppe di S.Maria  lasciò  Matteo a Volpin  per svolgere temporaneamente le funzioni del commissario apostolico, e ivi rimase fino al 10 Marzo 1657 quando arrivo Giacinto di San Vincenzo da Goa a sostituirlo.
                Non si sa per quanto tempo rimase ancora nel Malabar ma nel dicembre 1660 si trovava a Surat in attesa di Giuseppe di Santa Maria, nuovamente in India per un giro di ispezione, ora come vicario Apostolico. Giuseppe arrivò, il 14 Maggio 1661, a Cochin, e nel frattempo era stato nominato Vescovo della chiesa di Serra. Non si sa del ruolo di Matteo in questo periodo, ma Giuseppe lo menzionerà espressamente come suo compagno.
                La posizione dei Carmelitani nel Malabar divenne critica. Gli olandesi assediarono la prima volta Cochin dal novembre 1661 al marzo 1662. Invano il vescovo Giuseppe, che risiedeva nella città assediata, spaventato dagli eventi chiese la protezione del “Il Ricklof Generale”, Rijckloff Van Goens (Rees,24  Giugno  1619 – Amsterdam,  14 Novembre  1682). Infine grande fu la  gioia dei Carmelitani quando finalmente gli Olandesi tolsero l’assedio. Ma ben presto ritornarono e dopo un secondo assedio, il 7 Gennaio 1663, Cochin capitolò. Il vescovo Giuseppe e altri preti finirono nelle mani degli olandesi. E’ tuttavia probabile che Matteo sfuggi alla cattura, in quanto non menzionato nella lista dei prigionieri fatta dal vescovo.
                Secondo il trattato di capitolazione, tutti i preti Romano/Cattolici, di origine occidentale dovevano lasciare il Malabar. Il vescovo Giuseppe protestò appellandosi direttamente a Van Goens, ma questi rispose che i cattolici di Malabar erano ampiamente provvisti di Preti locali.
                Il vescovo Giuseppe si arrese alle circostanze ed il 1 febbraio 1663 consacro Alexander Parampil (del Campo)  nuovo Vescovo della chiesa di Serre, col titolo di Megara,  ed il 4 febbraio con suo grande dispiacere si imbarcò per Goa con i due Carmelitani prigionieri. Quando nel 1663 giunse a Goa la notizia della pace tra il Portogallo e l’Olanda, Giuseppe prese nuovamente contatto con gli olandesi. Egli mando a Vengurla Matteo e Goffredo di S. Andrea a negoziare con i consiglieri olandesi il ritorno a Serra, ma i negoziatori fecero comprendere che essi preferivano Alexander del Campo come vescovo.
                Giuseppe, realizzata l’impossibilità di ritornare nel Malabar decise di ritornare a Roma. Il 22 gennaio 1664 lascio Goa e si diresse verso Surat. Si fermo a Vengurla per dire addio a Matteo e a Goffredo. In quell’occasione  Matteo consegno tutto o parte del Viridarium Orientale affinché  fosse stampato in Europa.  Il vescovo Giuseppe continuò il suo viaggio verso Surat dove il 10 Aprile 1664 si imbarcò sul “Carbares”  che lo portò a Bassora, da dove egli intraprese il viaggio verso Roma nella quale giunse il 6 Maggio 1665. Accolto con rispetto, venne in seguito nominato vescovo di varie città italiane, finendo poi la sua carriera come vescovo di Città di Castello. Dopo la morte fu proclamato Servo di Dio.
Matteo di S. Giuseppe rimase in India fino a quando il Malabar non divenne del tutto inaccessibile, poi tornò nella missione in  Persia. Verso il 1666 era a Bender  Abbas, mentre nel 1667 era in Isfahan.
                Durante il suo soggiorno in Persia egli ha continuato a rimaneggiare ed ad inviare parti in Europa del suo Viridarium Orientale, infatti nel 1669 un carmelitano scalzo di Milano, Michele di S.Eliseo, ricevette da lui un libricino con disegni di piante. Un altro Carmelitano, Valerio di S. Giuseppe, che come Matteo lavorava anch’esso nella “Missione per la  Persia e le Indie”, nel 1671 portò un altro libricino a Roma. Ambedue le raccolte andarono nella disponibilità di Zenoni che le pubblicò nella sua opera, Istoria botanica, nel 1675.
Van Rheede
Finalmente nel 1668, con l’appoggio del console francese ad Aleppo, François Baron,  riuscì a rientrare nella chiesa di Serra. Via Goa egli rientrò nel Malabar  tra la fine del 1668 e gli inizi del 1669. Qui inizia una storia particolare e ingarbugliata che lo pone in contrapposizione ai suoi diretti superiori e lo mette alle dirette dipendenze della “Propaganda Fede”. Matteo riesce ad accattivarsi le simpatie del comandante olandese del Malabar e a rimanere, unico tra i religiosi occidentali, nel Malabar.
                La ragione per la quale Matteo ritornò nel Malabar fu spiegata dal il comandante olandese, Hendrik Van Rheede, in una lettera, datata 15 Maggio 1674,  inviata al Governatore Generale della Batavia, come l’esecuzione della volontà da parte del Papa di inviare i Carmelitani come coadiutori del vescovo per sostenerlo nella diatriba tra i preti ortodossi e il clero portoghese.  Egli affermava inoltre che Matteo aveva già da cinque anni soggiornato in queste terre, senza mai aver contrastato con i regolamenti della compagnia. Questa dunque la versione ufficiale  che Van Rheede offre ai suoi superiori, ma la verità e in qualche maniera diversa .  Matteo fino al 1674 non aveva mai collaborato con la Compagnia di quel territorio. Un anno prima della suddetta missiva, nel 1673 Van Rheede ,  gli aveva consentito di costruire due chiese, una in Chathiat, sulla spiaggia dell’isola di Cochin, presso la foce del Ernakulam, l’altra, più piccola, a nord nel Werapoly. Van Rheede, saggiamente, nascose questa sua buona disposizione verso Matteo, per la costruzione di chiese cattoliche, decisione che non era in armonia con la politica della compagnia.
                Matteo nel 1674 fu invitato a Cochin da  Van Rheede  per un consulto medico.  Egli descrisse il suo primo incontro con Matteo nel seguente modo: “Quando convocato, questo venerabile uomo non esitò a venire da me nella città di Cochin e mi espose la sua intenzione di fare un elenco delle piante del Malabar, per cui assicurai a questo venerabile padre  la mia assistenza, ed egli molto gentilmente e prontamente mi offrì i suoi servigi in cambio.”
In  quell’occasione il Carmelitano risultò essere uno scaltro diplomatico.  Offrì di porsi insieme al vescovo sotto la protezione della Compagnia, in cambio della lealtà verso di essa. La cosa trovò i favori di Van Rheede perché egli disperava di convertire i cristiani di San Tommaso al protestantesimo ed era alla ricerca di altri metodi per incrementare il suo credito verso le popolazioni native. Egli trasmise la richiesta di Matteo al Governatore Generale della Batavia, e suggerì anche  di ammettere altri due o tre collaboratori, possibilmente di origine romana o napoletana, in più aggiunse che i carmelitani erano uomini anziani pratici  di medicine.
Fin dal suo rientro nel Malabar, la vicenda di Matteo divenne alquanto delicata e complessa, e Il suo superiore, ritenendolo un religioso imperfetto voleva rimuoverlo dall'incarico, ma in accordo con la “Propaganda fide” egli rimase nella veste di missionario apostolico. Vista l’impossibilita da parte di cattolici ad ottenere  visti per entrare nel Malabar, si decise di chiudere un occhio. Quello che preoccupava di più era proprio la solitudine nella quale operava. Infatti più volte la “Propaganda fide”, aveva tentato di sostituirlo inviando al suo posto altri due Carmelitani. Questo aveva anche generato delle discordie tra essa e il superiore dei Carmelitani, che lamentava mancanza di uomini per ricoprire tale missione. In generale non era ben visto da parte dei Carmelitani occuparsi del Malabar . Matteo rimase solo nella Serra per anni e la vita da soli è giudicata vita poco edificante, e dobbiamo aggiungere che Matteo ignorò per due volte l’invito del superiore a lasciare la missione, macchiandosi di disubbidienza.
Già nel definitorio generale del giugno 1670 i superiori affermano di essere rammaricati del fatto che Matteo era già allora alle dirette dipendenze della «Propaganda fide».
Il 29 gennaio 1674, il Padre Matteo di San Giuseppe, scrive delle lettere al suo confratello il Padre Celestino di S. Lidwina, al tempo lettore di lingua araba al collegio di San Pancrazio in Roma, informandolo che in seguito alla morte di alcuni personaggi equivoci molti cristiani «scismatici» sarebbero disposti a passare alla chiesa cattolica. Egli chiedeva così al Papa e alla Propaganda Fide che gli mandassero in aiuto al più presto tre o quattro Preti carmelitani italiani: informava inoltre il suo confratello che gli olandesi, ed in particolare il governatore di Cochin, Hendrik Adriaan van Rheede, erano favorevoli all’iniziativa.

Il Padre Celestino comunica al Superiore, che era suo desiderio rivolgersi direttamente alla Propaganda Fide, per  presentare direttamente le lettere di  Padre Matteo.
 Monsignor Ravizza, segretario della Congregazione della Propaganda, chiede allora al Collegio di San Pancrazio se c’erano dei religiosi disponibili. Il Padre Celestino si offre immediatamente. Tre altri Padri accettarono: Bartolomeo dello Spirito Santo (alias Giacinto Torricelli, 1640-1680), Agnello dell’Immacolata Concezione (alias Carlo de Giorgio, 1664-1697) e Angelo Francesco di S. Teresa (alias Giovanni Vigliotti,1650-1712).
(Copertina dell’Hortus malabaricus)
                Matteo prese dimora  a Cochin. Nel frattempo egli deve aver discusso col comandante della difficile situazione religiosa dell’isola, la quale è stata poi riportata in una lettera datata 15 maggio 1674. 
Le conversazioni tra i due uomini tra il 1673 ed il 1674 hanno portato alla decisione di comporre un lavoro in comune sulla flora del Malabar. Nel 1674 Van Rheede chiamo in aiuto i Bramini Vinaique Pandito, Apu e Ranga Botto a collaborare a Cochin. Si unirono a loro anche il Cappellano riformato di Cochin, Joannes Cesearius(1642-1677),  ed un medico locale conoscitore della medicina Ayurvedica, Inti Achudem.  Molti dei disegni di Matteo entrarono quindi a far parte dell’Hortus Indicus Malabaricus di Van Rheede, ma dopo un po', di comune accordo e con tutta l'umiltà che poteva avere un Carmelitano, ai suoi disegni furono preferiti quelli di Casearius, che essendo anche più giovane, aveva una particolare predisposizione nella rappresentazione ombre. 
    Così questo interesse in comune consentì un avvicinamento e una convergenza verso le posizioni di Matteo per la gestione della chiesa di Serra. Van Rheede camminò su un sentiero molto pericoloso. Con i suoi studi di Botanica Matteo aveva portato il fanatico Governatore olandese verso posizioni favorevoli ai carmelitani, trasformandolo in un amico e protettore. Ma nella compagnia questo veniva usato contro di lui.
                L’atteggiamento di Van Rheede venne criticato sempre più aspramente anche dagli olandesi. Il vice comandante Gemer Vosbourg, scrive in una lettera del 7 giugno 1675: “ … un italiano o  napoletano ha presentato se stesso in una luce tale da porsi nella grazie del comandante Van Rheede al appunto da farsi considerare un santo”. Continua scrivendo “ … egli ha detto che è un esperto medico ed erborista; per cui egli ha tutta la libertà di visitare ogni casa … ora, in Cochin, egli ha ingaggiato delle persone che insieme a questo Carmelitano stanno facendo un erbario di tutte le erbe, alberi e piante, gruppo del quale il cappellano Casearius è un attivo aiutante”. Secondo lui Casearius avrebbe dovuto studiare meglio il portoghese per combattere la chiesa cattolica invece di occuparsi di questioni scientifiche.
                Questo rapporto venne discusso nel concilio delle Indie, dove Van Goens, nel frattempo diventato Direttore Generale del le indie in Batavia,  aggiunse che ora Matteo aveva il supremo potere su tutta la cristianità di Cochin e che Van Rheede gli aveva fittato una casa subito fuori dai confini della citta, che lui utilizzava per celebrare messa. Il concilio delle Indie fu caratterizzato da un forte antipapismo ed il Governatore Generale in persona, Maatsuiker, un convertito ex della chiesa cattolica, inviò una lettera a Van Rheede per imporgli di bandire Matteo del regno di Cochin.
La lettera tra l’altro recita così “ … allo stesso tempo noi, per buona ragione, ordiniamo immediatamente di espellere il Carmelitano Frate Matteo, non solo dalla città ma  dall’intero territorio, il più a nord possibile, perché questo stato di cose ci crea un serio imbarazzo”. Prosegue poi citando Casearius, consigliandogli “ di leggere di più i libri della sua professione”.
Intanto il il 21 aprile 1675, venne alla luce a Cochin, la prima edizione dell'Hortus Malabaricus. Nel volume III Van Rheede, nella prefazione, fa un elogio esaltato delle capacità e santità del nostro Fra Matteo.
In seguito all’ordine del Alto Governatore la prosecuzione dell’Hortus Malabaricus divenne estremamente difficoltosa. Nel febbraio 1676 Casearius, non sopportando più la pressione delle autorità su di lui da le dimissioni. Il comandante Van Rheede da parte sua, stanco dei ripetuti attacchi alla sua politica, aveva già nell’ottobre 1675 richiesto a Lord XVII, in Olanda il permesso di essere rimpatriato. I lavori all’hortus malabaricus continuarono, ma con sempre minore motivazione. Nel giugno 1677 Van Rheede e Casearius si imbarcarono insieme per la Batavia. Lasciamo immaginare la posizione in cui si trovava Matteo. Van Rheede fece tutto quanto era possibile per farlo rimanere a Cochin.
              Nel frattempo la commissione dei Carmelitani richiesta da Matteo era ancora in viaggio.  Padre  Celestino, oramai 72 enne, il 22 luglio 1676 muore, nella Città di Surat, e dei quattro inviati solo due arrivarono a destinazione.
Possiamo anche immaginare che a causa della eterogeneità della compagnia di Matteo nello svolgimento del suo lavoro di Botanico, i rapporti con i superiori e i confratelli si deteriorarono ulteriormente. Gli fu intimato di lasciare il Malabar e di raggiungere Goa per almeno due volte, ma non obbedì.  
Il 26 giugno 1674 si occupò della vicenda la Sacra Congregazione, che acconsentì alla rimozione, soprattutto in base ad un rapporto del segretario che attribuiva dissapori tra Matteo ed il vescovo locale.
Varie altre fonti denunciano una situazione sempre meno chiara, citando per esempio gli Acta del 30 giugno 1674, che un certo Marco Ferrarini, residente a Goa, che aveva affermato che ci fosse troppo accordo tra Matteo e gli Olandesi “… Matteo di San Giuseppe Carmelitano scalzo,  di cui si mormora che habbia tentate alcune novità con gl’Olandesi che egli però non può indursi a crederlo”.
Qui risulta che nessuna conferma, tranne che voci al momento si erano formate contro Matteo, e veniamo quindi anche all’accusa di “Heretico”, che quasi subito gli venne formulata. Da una parte abbiamo quindi l’accusa di aver troppa amicizia con gli Olandesi, fino ad insinuare che sia passato dalla parte dei protestanti, ma dall’altra il Ferrarini non creda a quanto gli sia stato raccontato e cioè alle “ novità “ che potrebbero aver portato Matteo a lasciare la condotta disciplinare della chiesa a favore di quella protestante.
Una commissione di Carmelitani fu quindi inviata a condurre Matteo a Goa per essere sottoposto a processo davanti al tribunale dell’inquisizione. Van Rheede appoggiò il suo  amico e scaccio dai territori della compagnia la commissione. In seguito, durante il Concilio sull'India Van Rheede appoggiò l’idea della indispensabilità di Matteo nei rapporti inter religiosi.
                Intanto nel 1676 viene nominato Visitatore provinciale e vicario generale della provincia di Persia ed India il ventottenne  milanese Giovanni Battista di san Giuseppe, al secolo Federico Antoniano  (Milano 1644 –Shiraz 1681).
                Egli scrive una lettera nella quale chiede licenza al suo superiore di poter esprimere liberamente nel bene e nel male sulla vicenda di cui è stato testimone, a riguardo di un tal “soggietto”, chiamato Matteo di San Giuseppe, quindi prosegue riferendo che già due volte il Padre Matteo era stato convocato dal tribunale dell’inquisizione di Goa per difendersi dall’accusa di eresia, ma poiché si rifiutava avevano deciso di bruciare la sua statua. Padre Giovanni durante il suo viaggio dalla Persia, senti sempre parlare male di lui, come ribelle, eretico, ostinato, disobbediente e poco amante della compagnia dei suoi confratelli e della religione, capo di scisma ed ateista, con costumi peggiori dei secolari, tanto da essere pietra di scandalo in quelle terre.
                Giunse quindi Padre Giovanni a Goa e da qui decise di affrontare senza indugio il problema. Nel 1677, raggiunse il Malabar  per convincere Matteo a raggiungere Goa e sottoporsi al giudizio. Ma avvenne qualcosa di particolare. Padre Giovanni scrive di essere rimasto colpito dall’accoglienza gioiosa e rispettosa che gli riservò Matteo. Ascoltando i suoi discorsi lo trovò molto “spirituale e fervoroso”.
                All’ordine di partire per Goa accettò subito, anche di nascosto per non turbare gli olandesi e i locali. Durante il viaggio Padre Giovanni lo osservava e lo metteva alla prova, arrivando alla conclusione che non di “malizia” bisognava parlare per il suo comportamento, ma di poca prudenza e discrezione e “molta leggerezza di lingua che in lui fu sempre grande”.
                Il processo quindi si svolse solo per zittire quanti lo  avevano calunniato, e spegnere così i fuochi [1]della maldicenza, e si risolse solo con una blanda penitenza, anche considerando la sua veneranda età, che al tempo era di 67 anni.
Quando Van Rheede lasciò il Malabar chiese al suo successore di continuare a proteggere Matteo, e con la partenza si interruppe la collaborazione nella stesura dell’”Hortus Indicus  Malabaricus”.
L’opera chiamata ”Hortus Indicus Malabaricus” fu pubblicato in Europa tra il 1678 e il 1703.
 Il nuovo comandante, Lobs,  prese molto a cuore il desiderio di Van Rheede e per un certo periodo Matteo rimase sicuro sotto la protezione della compagnia..
I due Carmelitani superstiti della spedizione   raggiunsero il Malabar alla fine del 1676 ed iniziarono a collaborare con Matteo nella Serra. In quell'anno riuscirono a far eleggere, in sostituzione  dell’anziano Tommaso  il nuovo vescovo, Raffael de Figuereto. Il 15 maggio 1679, spedirono una lettera alla Sacra Congregazione, nella quale oltre a chiedere sussidi per il neo vescovo, propongono di rimuovere da quella missione  il padre Matteo. A questa richiesta si oppone il 15 Agosto 1679 il vescovo di Megara il quale stima non eretico, ma imprudente l’atteggiamento di Matteo.
Le accuse proseguono, crescono e variano,  spaziando dall'ambito strettamente religioso fino al politico, ma dobbiamo dire che ad accusarlo erano soprattutto i religiosi di Goa, allora ancora sotto il dominio portoghese. Lo scopo era soprattutto di allontanarlo, gelosi della sua amicizia con gli olandesi,  in quanto a loro dire aveva tentato di impedire l’ingresso del vescovo da loro designato, Rafael de Figuereto, preferendone uno locale, usando gli olandesi per minacciarlo. Altra accusa era quella che in  ottemperanza alla sua dichiarazione di fedeltà ai dominatori olandesi, avesse spinto il vescovo a promettere l’intervento di cinquemila cristiani del Malabar in sostegno degli olandesi nel caso fossero stati attaccati da un’altra potenza occidentale.
Infine , nel 1679 la commissione di Carmelitani riapparve, con l’evidente intenzione di provare a portare il più velocemente possibile Matteo fuori dalla giurisdizione Olandese e di ricondurlo a Goa, approfittando che il Malabar in quel momento era sottoposto ad un nuovo comandante. I Fratelli irrompono su di lui mentre era nella chiesa di Pallurutti, a sud di Cochin e lo trascinarono a Werapoly. Il comandante Lobs, scrive a questo riguardo le seguenti parole:
“Mentre il vecchio Padre frate Matteo officiava di notte nella sua piccola chiesa in Pallurutti, ad un ora di distanza dalla cittadina, essi si gettarono sul vecchio uomo trascinandolo come un criminale sulla loro nave e lo portarono a Werapoly, intendendo in seguito trasportarlo giù al fiume Cranganore , trattenendolo su un battello appositamente preparato allo scopo di partire, appena fatto giorno,  per Goa dove lo avrebbero imprigionato a vita”
Lobs invia all'inseguimento Antoni Goetkind, che già nel 1678 aveva salvato Padre Matteo da un attentato, militare della Compagnia e disegnatore dell’Hortus Malabaricus. Padre Matteo viene liberato e la commissione dei Carmelitani andò a portare le rimostranze all'alto Governatore. Van Rheede aveva nel frattempo lasciato la Batavia e conseguentemente non poteva aiutare Matteo. L’Alto Governatore era impegnato con altri affari e chiese al  nuovo comandante Martin Huisman di esaminare definitivamente la posizione di Matteo nel Malabar.
La decisione fu che l’Alto Governatore era favorevole alla permanenza di Matteo nel Malabar se avesse lasciato l’ordine dei Carmelitani, ma per lui era una cosa inammissibile. In seguito a ciò Matteo, nel 1679,  ritornò in Persia e nell'agosto del 1680 ritornò a Cochin con la richiesta di continuare la missione sotto l’ordine del suo superiore, “fino alla ormai imminente fine della  sua vita”, ma Huisman rispose ancora che avrebbe dovuto lasciare l’ordine dei Carmelitani. Allora Matteo ritornò a Surat e terminò così la sua avventura nel Malabar
Morì a Taffa, nella provincia di Sindi, presso la foce dell’Indo nel 1691. Dopo la sua morte molte parti del Viridarium Orientale servirono da spunto a generazioni di botanici. Una copia è presente nella biblioteca del Museo di storia naturale a Parigi.

Note:

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